della nave, che era senza fallo la migliore delle tre, tornavano dunque alla riscossa con le loro alzate d'ingegno?
Del malvagio proposito non dubitava l'almirante, mentre governava verso la Pinta per recarle soccorso. Ma il vento soffiava gagliardo, il mare ruggiva, e con quel tempo era più facile investire la Pinta che accostarsi al suo bordo. Per fortuna, il comandante della nave era Martino Alonzo Pinzon, e questi non era della opinione dei padroni, in materia di parziali avarie.
- Almirante! - gridò egli dal capo di banda, - non temete di nulla. Leverò io la voglia a tutti di guastare un'altra volta il timone, dandone la barra sulla testa al primo che parlerà di ritornarsene indietro. Per ora il timone sarà accomodato con quattro giri di gomena; e poi si vedrà. Magari zoppicando, seguiteremo la capitana. Ma io consiglierei, salvo il parer vostro, di appoggiare alle Canarie, per provvedere un po' meglio a questa rottura. -
Non era intenzione dell'almirante di far sosta alle Canarie, come a nessun'altra isola o costa di quei paraggi. Ma bisognava chinar la testa al destino, e seguitare i consigli della prudenza. Il giorno appresso, non era più questione di prudenza, ma di assoluta necessità. La Pinta, di sicuro, era stata male raddobbata, e per il fasciame sconnesso incominciava a far acqua.La legatura del timone si era anche rallentata, e la caravella governava male da capo. La Santa Maria e la Nina dovettero diminuire la tela, per serrar meno vento, e andar di conserva con la povera zoppa. E l'almirante, non che risolversi di far sosta alle Canarie, pensò che gli sarebbe convenuto cercare laggiù un'altra caravella, per liberarsi da quella nave, che incominciava a parergli un vero castigo di Dio.
Ma perchè andare alle Canarie? Quelle isole erano ancora molto lontane. Non era meglio ritornare indietro, coi due legni che ancora reggevano al mare, e sui quali si sarebbe potuto trasbordare tutta la gente e il carico della Pinta, perchè questa seguitasse come poteva, magari presa a rimorchio? Era questo il pensiero dei marinai, confortato dalla opinione dei piloti. Alcuni di essi, come Pedro Alonzo Nino e Sancio Ruiz della Nina, stimavano sicuramente di essere molto distanti dalle Canarie. Forse meno sincero, perchè più desideroso del ritorno, era Bartolomeo Roldan, altro pilota della Nina. Ma niente affatto sincero, e più caldo sostenitore della grande distanza, era Perez Matteo Hernèa, pilota della Santa Maria. Costui incominciava ben presto a far prova del suo mal animo contro il comandante supremo, che egli non si peritava di
giudicare, sebbene ancor sotto voce, un ambizioso impostore.
Ma il comandante della Pinta, della nave zoppa, aveva manifestato egli stesso il proposito di appoggiare alle Canarie, e per conseguenza di proseguire il cammino fin là. Con Martino Alonzo Pinzon, marinaio esperto e ben veduto dall'equipaggio, non si poteva lottare; specie quando minacciava di ricorrere agli argomenti ad hominem. Più calmo, ma più sicuro nella sua nautica dottrina, Cristoforo Colombo aveva detto: - V'ingannate, nella vostra stima; le isole sono anzi vicinissime. Tra domani o doman l'altro, le avvisteremo di certo. -
Il fatto seguì com'egli aveva annunziato. Sull'alba del giorno nove, si scorgevano le vette della Gran Canaria. Disgraziatamente, ora per troppo vento, ora per troppo poco, non era possibile l'approdo. Si stette due giorni in attesa di una propizia occasione, ma invano; e l'almirante, non volendo perder tempo a bordeggiare in quelle acque, si lasciò addietro la Pinta, ordinando a Martino Alonzo Pinzon di approdare quando potesse, e di cercare un'altra nave, per dare il cambio alla sua. Egli intanto andava con le altre due caravelle alla Gomera, per il medesimo intento. E giunse alla Gomera nel pomeriggio del 12 agosto udendovi con sua grande consolazione che s'aspettava di giorno in giorno una buona nave, andata per l'appunto alla Gran Canaria.
- Aspettiamo dunque con fiducia; - aveva detto l'almirante. - Se la buona nave è a quell'ancoraggio, Martino Alonzo l'ha trovata, l'ha presa, e viene con essaa raggiungermi. -
Ma lo aspettò invano. E stanco di aspettare, partì il 23 per andare incontro al compagno. Giunse il 25 alla Gran Canaria. Martino Alonzo Pinzon non v'era giunto che il giorno prima, e stentatamente; udendo da quegli abitanti che la nave c'era stata, ma che da parecchi giorni ne era partita, nè si sapeva per dove.
Bisognava rinunziare ad ogni speranza di barattare la nave, e lì per lì provvedere invece a rimettere in sesto la Pinta. Martino Alonzo Pinzon mandò a terra i mastri d'ascia per cercare il legname adatto e tagliare alla svelta un altro timone. Frattanto, poichè la sua caravella faceva acqua, i marinai si mutarono in calafati, e si diedero a fabbricare con vecchi cavi disfatti le stoppe catramate, che con scalpelli e mazzuoli dovevano poi ficcare nei comenti del fasciame, nelle ossature, nei nodi del legname, intorno ai cavicchi, e dovunque bisognasse, ricoprendo poi ogni cosa di pece.
La Nina approfittò di tutto quel tempo per cambiar velatura. Le sue
vele latine si mutarono in quadre, e alle antenne, per conseguenza, furono sostituiti i pennoni. Per tal guisa, di caravella che era, e somigliante ad uno sciabecco, si trasformò in una specie di brigantino a palo. Quanto alla velatura, s'intende; non già quanto alla alberatura. Le caravelle portavano bensì tre alberi, il trinchetto, l'albero di maestra e l'albero di mezzana, ma quest'ultimo era assai più avanzato sulla poppa e più corto che non sia nei brigantini a palo d'oggidì; d'onde la conseguenza che non fosse molto larga la vela, artimone o mezzana che vi piaccia chiamarla, nella sua forma triangolare e latina, oppure randa di poppa, nella sua forma quadra.
Quando la Nina spiegò al vento la sua velatura nuova, dovette affrontare i giudizi delle altre navi, che l'aspettavano per muovere di conserva con lei. Il marinaio è criticatore per eccellenza; figuratevi se poteva essere risparmiata la Nina, il giorno che si presentò in riga così trasformata. La critica alle sue vele fu come un sorriso, il primo, in mezzo a tanti giorni di nera malinconia.
- Sarà bella, - diceva uno, - ma mi pare un po' goffa.
- Già, - soggiungeva un altro, - come un contadino di Biscaglia, quando mette un abito nuovo.
- E guardate, - entrava a dire un terzo, - tra i pennoni e gli alberi, che stonatura di tinte!
- Si capisce; i pennoni son nuovi, e gli alberi son vecchi.
- Albero vecchio.... fa buon fuoco.
- E quelle trozze! dovrebbero stringere un po' meglio.
- Aspettate che bevano, e stringeranno, stringeranno anche troppo. -
Insomma, ognuno voleva dire la sua.E l'almirante, passeggiando gravemente sul ponte della Santa Maria, poteva, come suol dirsi, sentir suonare tutte le campane, ad una ad una, e magari tutte insieme.
Su tante, egli ne sentì una che lo colpì, facendolo voltare di soprassalto. Due marinai stavano appoggiati al capo di banda, un po' in disparte dai loro compagni, e ragionavano di cose vane, non tali da destare l'attenzione dell'almirante. Ma il tono è quello che fa la musica; e quei due cantavano in un tono che doveva far senso a messer Cristoforo Colombo. Parlavano, a farvela breve, in vernacolo genovese. Come mai due genovesi a bordo? Ed egli non ne sapeva nulla?
L'equipaggio delle tre caravelle non lo aveva scelto lui. Quella gente
era stata presa per forza, nella maggior parte; e il resto era stato tirato dall'esempio dei fratelli Pinzon. A Palos, ad Huelva, a Moguer, erano tutti valenti marinai; si potevano prender tutti ad occhi chiusi. E un po' per una ragione, un po' per l'altra, l'almirante non aveva presieduto alla formazione della sua marinaresca. Quanto al nome di tutti, alla patria e alle altre particolarità di quella gente, erano cose che egli avrebbe conosciute via via, durante il viaggio, senza bisogno di leggere il registro, che era tenuto dal suo primo pilota.
Immaginate dunque la dolce commozione che messer Cristoforo Colombo provò in quel giorno e in quell'ora. La parlata della madre patria è sempre la più soave all'orecchio dell'uomo, quando egli si ritrova fuori paese. Egli accorre al suono conosciuto, come ad una festa dell'anima; ascolta giubilante, vorrebbe subito barattar parole anche lui, come se volesse provare a sè stesso che quell'idioma, che è senza dubbio il più bello del mondo, egli non lo ha dimenticato. E parlandolo, dopo tanti anni, in una regione lontana, egli sente in quell'idioma, in quel vernacolo natìo, un gusto, un sapore di novità, che gli è fonte di gioie inattese, rivelazione di arcane bellezze.
Ma per allora non era il caso di fermarsi a discorrere. La dignità del comando voleva che l'almirante tirasse di lungo; e il momento, poi, non era da chiacchiere. Le caravelle erano in riga, bisognava partire. La Santa Maria si mosse per la prima dall'ancoraggio della Gran Canaria, dirigendosi alla Gomera, dove aveva lasciato a terra una squadra d'uomini per far provvista di viveri. Era una domenica, il 2 di settembre, un mese dopo la partenza da Palos.
Per andare alla Gomera, si passava davanti a Teneriffa, che è l'isola centrale del gruppo delle Canarie. Il gran picco di Teneriffa era proprio allora in piena eruzione vulcanica; maraviglioso spettacolo, che per la maggior parte dei marinai di Cristoforo Colombo poteva dirsi anchenuovo. Udendo i boati della montagna, e i tuoni frequenti che facevano tremar l'aria tutto intorno, vedendo la immensa colonna di fumo che usciva a fiotti dall'alto cratere, le fiamme che guizzavano in mezzo a quel fumo, i torrenti di lava che scendevano rosseggianti nella notte lunghesso i fianchi del cono, quei poveri marinai del secolo decimoquinto provarono gli stessi timori che cinque secoli prima dell'Era volgare avevano fatto dare indietro i compagni di Annone Cartaginese.
Quella eruzione spaventosa di Teneriffa era una ammonizione ai mal capitati. Così, per terremoti e per vulcani, si era inabissata una gran
terra, laggiù, di cui narravano oscure leggende; quell'istesso mare che l'aveva inghiottita, non poteva divorare da un momento all'altro anche loro?
L'arrivo alla Gomera fu occasione di altri timori, non più per i marinai, ma per il comandante supremo. Da poco erano entrati in rada, quando sopraggiunse una caravella, anch'essa spagnuola, che faceva servizio tra quelle isole. Veniva dall'isola del Ferro, la più occidentale delle Canarie, e recava notizie di una straordinaria crociera. Tre navi portoghesi avevano toccato all'isola del Ferro; dai discorsi dei marinai, dalle domande degli uffiziali, si era potuto capire che il re Giovanni II di Portogallo mandava quelle tre navi ad aspettare al varco una spedizione di scoperta, per farne prigioniero il comandante.
Cristoforo Colombo, non durò fatica ad intendere chi fosse l'aspettato. Sette anni addietro egli era fuggito dal Portogallo, non isperando più nulla da quel re, che sempre lo aveva tenuto a bada con buone parole. Richiamato da lui, che certamente si era pentito e temeva di veder la Spagna far buon viso ai disegni del navigatore Genovese, non aveva voluto a nessun patto ritornare a Lisbona. Ciò che il Portoghese temeva, era accaduto; tardi, veramente, ma in tempo per nuocere alla fortuna del Portogallo, i reali di Castiglia avevano dato a Cristoforo Colombo le navi e gli uomini per tentare l'impresa dell'Oceano. Nuove isole, fors'anche continenti, sarebbero stati dunque scoperti a profitto di Spagna. Ma non erano del Portogallo tutte le nuove terre di là dai confini d'Abila e Calpe? Già troppo era che Castiglia vantasse diritti sulle Canarie, e di tanto in tanto, dopo l'impresa del Bethencourt, vi facesse atti di padronanza. Niente altro doveva sperare, nient'altro ambire la corona di Castiglia in un campo oramai devoluto alla operosità portoghese.
Aiutavano questa pretensione, la fortificavano certamente nell'animo del re Giovanni, le scarse cognizioni geografiche e cosmografiche del tempo. Dove andava infine il navigatore Genovese? di là dalle Azzorre? di là da Madera? di là dalle isole del Capo Verde? Tutte conquiste portoghesi eran quelle; e portoghese doveva essere egualmente tutto ciò che poteva ritrovarsi più in là.Ma se una grande scoperta fosse fatta per conto della Spagna, difficilmente si sarebbe potuto contenderne alla Spagna il possesso. Con la presa di Granata e lo sterminio completo della potenza moresca, i reali di Castiglia e d'Aragona si ritrovavano forti e liberi come non erano stati mai; la riunione di tutte le Provincie
spagnuole sotto un solo scettro segnava la decadenza del Portogallo. Una conquista oltre i mari, sui confini dell'Asia, di quell'Asia a cui miravano allora tutti gli sforzi della Corte di Lisbona, avrebbe dato il tracollo alla potenza portoghese. Donde la necessità urgente di mettere ostacolo all'impresa di Cristoforo Colombo, e ad ogni costo impadronirsi di lui. E perchè, dopo tutto, non si poteva tentare con forze portoghesi la medesima impresa? Tre navi allestite per catturarlo, potevano anche proseguire il viaggio di scoperta, giovandosi dei suoi disegni e della sua direzione. Comandante con le braccia legate, avrebbe ad ogni modo raggiunto il suo fine e guadagnata la sua gloria. E forse, chi sa? era meglio andar prigioniero, ma rispettato, a scoprire un nuovo mondo, in un primo viaggio, che ritornare incatenato ed umiliato dal terzo, dopo aver fatta e assicurata la conquista di quel nuovo mondo ad un monarca sconoscente ed ingrato.
Ma non è dato agli uomini di prevedere il futuro. Se anche Cristoforo Colombo avesse preveduto il suo destino, possiamo star certi che avrebbe fatto egualmente quello che fece, appena udite le notizie della crociera portoghese. Ordinò prontamente che si smettesse di far provvigioni, richiamò tutti gli uomini a bordo, e fece spiegare le vele.
Le tre caravelle lasciarono l'ancoraggio il giovedì 6 settembre, due ore innanzi l'alba. Allontanandosi un buon tratto verso ostro, l'almirante sperava di uscir dalla vista del nemico, caso mai questi avesse lasciati i paraggi dell'isola del Ferro per muovergli incontro. Un vento fresco che era sorto nella notte, gli dava buona speranza di riuscire nell'intento. Ma quella brezza d'improvviso cessò; e le tre caravelle dovettero restarsene tutto quel giovedì, ed anche il venerdì, con le vele penzoloni. Per fortuna, l'almirante aveva guadagnato tre ore di cammino, e non era probabile che il vento delle isole giovasse tanto alle navi portoghesi, da spingerle sulla sua strada. Neanche era probabile che esse si fossero spiccate da ponente dell'isola del Ferro, dove potevano egualmente vigilare a destra e a sinistra di quell'arcipelago. Piuttosto era da temere che toccassero alla Gomera, sapessero del passaggio di lui e muovessero a dargli caccia, appena il vento si fosse levato.
Ed egli spiava ansiosamente quel vento, che si levò soltanto sul mattino del sabato. Ma non era un buon vento; spirava da ostro, e spingeva le caravelle sull'isola delFerro. Ore terribili furono quelle per lui. Ma anche per le navi portoghesi quel vento soffiava contrario. Non era dunque perduta ogni speranza per lui.
Sull'alba della domenica, quel vento malaugurato cambiò finalmente, e le caravelle lo ebbero in fil di ruota. Allora l'almirante rese grazie a Dio della buona ispirazione che gli aveva mandata, di far mettere le vele quadre alla Nina, che con le vele latine non avrebbe potuto camminare di conserva con le altre, nè per conseguenza sottrarsi con esse al pericolo. Messa tutta la sua tela al vento, la piccola squadra di Cristoforo Colombo, in un giorno e nella notte che seguì, si allontanò quarantadue leghe dalla isola del Ferro. E naturalmente perdette di vista quell'ultima terra occidentale del mondo antico. Che gioia, per Cristoforo Colombo, non veder più che acqua dintorno a sè, quanto andasse attorno la vista!
Ma era scritto lassù che quando egli era lieto non lo fossero egualmente i suoi marinai. Essi avevano veduto con terrore il picco di Teneriffa vomitar fumo e fiamme. Con altrettanto terrore videro quella immensa distesa d'acque, forse la prima che navigatori vedessero, senza certezza di un lido. E un lido non si aspettavano di ritrovare laggiù, sebbene l'almirante assicurasse di doverlo ritrovare a settecento leghe oltre lo stretto di Gibilterra; s'aspettavano invece di veder sorgere dagli abissi i mostri marini che avrebbero capovolte le navi e castigati i temerarii violatori dei segreti dell'Oceano. Quante volte non fu costretto Cristoforo Colombo a chetarli, a fare il suo sermoncino cosmografico a quei rozzi marinai, tentando di persuaderli della vanità delle loro paure! Lo stavano a sentire; lì per lì sembravano persuasi, pieni d'insolito ardimento; poi ricascavano nella loro viltà, tremavano, e si lagnavano peggio di prima.
Altra cagione di sgomento fu il giorno 11 di settembre, a cento cinquanta leghe dall'isola del Ferro, quando videro galleggiare sulle acque un pezzo d'albero di gabbia. Così ad occhio e croce si poteva giudicarlo appartenuto ad un naviglio di cento venti tonnellate. Ma il naviglio, dov'era? Sicuramente sprofondato negli abissi dell'Oceano. Ugual sorte non era riserbata anche a loro?
Lo sgomento si mutò in alto terrore, quando osservarono la bussola, sei giorni dopo aver trovato l'avanzo della barca naufragata. L'ago magnetico, scambio di volger la punta alla stella polare, piegava di cinque o sei gradi verso maestro. Che voleva dir ciò? Entravano essi in una regione del mondo ove le leggi di natura non valevano più? E lo sviamento dell'ago, ogni giorno osservato con ansia, si vedeva ogni giorno aumentato.
Da parecchi giorni l'almirante aveva notato il fenomeno, e temeva che
lo notassero altri. Quando il guaio fu avvenuto, egli dovette inventareuna spiegazione plausibile del fatto.
- Che credete? che la calamita volga la punta alla stella polare? La volge invece ad un punto fisso ed immobile. La stella polare, come ogni altro corpo celeste, fa i suoi mutamenti nello spazio, girando bensì intorno a quel punto invisibile. Ed ecco perchè qualche volta vedrete la calamita scostarsi dalla direzione della stella polare. Nel fatto è la stella polare che si scosta. -
Si persuasero i piloti, che avevano una grande opinione della dottrina astronomica di Cristoforo Colombo. Persuasi loro, si persuasero anche i marinai, che non guardavano tanto nel sottile.
Ed era tempo che una spiegazione fosse trovata, anche falsa; perchè già tra i marinai si andava ricordando la storia di un luogo lontano sul mare, dove i chiodi ed ogni altro genere di ferramenta si spiccavano dai navigli, per volarsene ad un certo promontorio incantato, lasciando che i legni si sfasciassero e colassero a fondo con le povere ciurme. Di sicuro quel promontorio esisteva, era una montagna di ferro, o d'altra diavoleria che tirasse a sè ogni specie di metalli; e quella montagna non doveva essere lontana. Già infatti l'ago calamitato della bussola si volgeva da quella parte; ancora una cinquantina di leghe, un centinaio al più, e le tre caravelle sarebbero state attirate verso quella montagna metallica, per far la fine di tante e tante altre. I marinai narravano, senza saperlo, una favola orientale, fatta correre dai novellieri arabi, per tutte le popolazioni marinaresche del Mediterraneo.
Cristoforo Colombo non si era apposto al vero, immaginando la sua famosa dichiarazione dello strano fenomeno. Ma lì per lì quella dichiarazione faceva buon giuoco; ed anche, nello stato delle cognizioni fisiche ed astronomiche del tempo suo, poteva passare per una divinazione. Oggi, con tante ipotesi sui poli magnetici, sul loro numero e sulla loro distribuzione, non ne sappiamo più di lui. Conosciamo le deviazioni dell'ago calamitato in tutte le regioni del globo, ne abbiamo anche delineate esattissime tavole; ma la causa del fenomeno costantemente ci sfugge. Per possedere il segreto di tutti i congegni che fanno muovere due sottili lancette sopra un quadrante di porcellana, un fanciullo non dubiterebbe di disfare l'orologio. Ma noi non siamo più fanciulli, pur troppo!
Getta l'àncora e spera in Dio.
La calma ritornava negli animi sbigottiti. Ma era la calma tenue del soldato, che tra una battaglia e l'altra gode il riposo dell'avamposto, mettendo a guadagno tutte le ore di quiete, pure avendo sempre nello spirito una vaga inquietudine, che gli leva la voglia di pensare alle cose lontane nello spazio o nel tempo. Certamente, regna la quiete intorno a lui, ma è quieteche precede la tempesta. Il sentiero è sgombro, davanti a lui, ma l'insidia è vicina; la morte può stare in agguato dietro quel canto di strada che verdeggia là in fondo. E verso quel fondo: si guarda mal volentieri, anche dai più coraggiosi. Chi è di servizio, ci pensi.
Anche laggiù, sull'Oceano, erano calme le vie. Il sole splendeva, senza arrostire i cervelli; l'aria era dolce, mitissima; un aprile di Andalusia, per usare una frase dell'Almirante, un aprile d'Andalusia, a cui non mancava che il canto del rosignuolo, per far l'illusione compiuta.
Cristoforo Colombo ebbe sempre una gran tenerezza per il canto del rosignuolo. Il ricordo del cantore dei boschi ritornava spesso nelle sue relazioni di viaggio e nel suo giornale di bordo. Ma se per allora mancava il rosignuolo, una rondinella di mare e una cingallegra erano venute a svolazzare intorno alle caravelle. Passi per la rondinella di mare; è suo uffizio di volare sulle acque. Ma la presenza di una cingallegra non s'intendeva egualmente laggiù, se non immaginando molto vicina la terra.
E terra vicina immaginavano i marinai, argomentando dalla presenza di quel grazioso uccello silvano in una così lontana latitudine marina. Ma non tutti la pensavano a quel modo; particolarmente i nostri due genovesi.
- Ahimè, povera parissòla, - diceva uno di essi al suo fedele compagno. - Bisognerebbe conoscere per quali traversie abbia dovuto sperdersi da queste parti, e che raffiche indiavolate l'abbiano gittata in alto mare. Da principio si sarà rifugiata sulla gabbia di qualche naviglio. Poi, seguitando questo vento di levante....
- Avrà perduta la tramontana; - interruppe l'altro, che era anche il più faceto dei due. - E un bel giorno, veduto questo gran verde, l'avrà scambiato per una prateria. Ci starà grassa, ci starà!
- Così noi, sperduti per il mondo! - mormorò l'altro, sospirando.
Ma al compagno non garbavano questi sospiri.
- Ohè, Cosma! - esclamò. - Vogliamo intenerirci un pochino? Bada che il tuo Damiano da quest'orecchio non ci sente, e come è vero Dio ti pianta sulla palmara. -
Voleva dire: ti pianta in asso. Palmara, dicono i genovesi quel cavo che lega i battelli alla spiaggia.
- E piantami! - rispose Cosma, sforzandosi di sorridere. - Tanto, so bene che andresti poco lontano.
- Ah bravo! - replicò Damiano. - Ho piacere che tu te ne ricordi, che siamo tutt'e due nello stesso guscio di noce. Per la vita e per la morte non abbiamo giurato di stare insieme? Tu piangi, io rido; e tra buon vento e cattivo la barca va. Tu vorresti il mondo rifatto a modo tuo, caro amico; io lo accettocom'è; per intanto andiamo tutt'e due a cercarne un altro. Ci sarà? e se c'è, sarà migliore del vecchio?
- Mistero!
- Con che aria lo dici? A me non fa nè caldo nè freddo. Mi par di giuocarla a croce e grifo; quel che sarà sarà. E spero, - soggiunse Damiano, - che tu ammirerai la mia filosofia, molto adatta per un viaggio di scoperta come questo.
- Perchè?
- Perchè si piglia il nuovo mondo come viene.
- Matto! - esclamò Cosma. - E così, tu non hai neanche bisogno di fede, per conservare il tuo buon umore!
- Chi te lo dice? Ho la mia fede ancor io; incomincio ad averne molta nell'almirante. Ed è naturale. Io vado a mano a mano raccattando quella che pèrdono gli altri. Non ti nascondo che questo nostro concittadino mi piace. Ed è nato lanaiuolo! Dunque fuori di porta Soprana, nella strada che mette al ponticello di Rivo Torbido. I lanaiuoli abitano tutti da quelle parti. E lanaiuolo com'è di origine, e marinaio di professione, ci ha un'aria di gentiluomo che consola.
- Non dei nostri, per altro.
- Ah sì, di un'altra stirpe, davvero. Ma vedi.... Cosma? Io mi son fatto un giudizio tutto mio, in questa faccenda. L'uomo fa l'aspetto secondo le passioni che lo muovono. Metti per dieci, venti, cinquanta e cent'anni una famiglia contro l'altra, tutte disposte a mangiarsi il naso, e vedrai che facce ti vengon fuori. È certamente per questo che gli Adorni e i
Fregosi, da un pezzo in qua, son tutte facce proibite. Anche i Fieschi, sai, anche i Fieschi; - soggiunse Damiano, ridendo. - E frattanto, che avviene? Che le facce serene e piacevoli, da veri gentiluomini, bisogna cercarsele altrove.
- Tra i lanaiuoli, allora?
- Sicuramente; e tra quelli, più facilmente che nelle altre professioni. Quelli, a buon conto, devono esser nati nel soffice. -
Il colloquio dei due marinai genovesi fu interrotto dal suono della campana, che dal castello di poppa chiamava l'equipaggio alla preghiera serale. Era quell'ora che il nostro maggior poeta ha cantata con versi tanto soavemente malinconici nelle celebri terzine del Purgatorio:
Era già l'ora che volge 'l desio A' naviganti e 'ntenerisce il core Lo dì ch'han detto ai dolci amici addio; E che lo novo peregrin d'amore Punge, se ode squilla di lontano Che paia 'l giorno pianger che si more.
Tutti inginocchiati in coperta, e fattosi umilmente il segno della croce, i marinai della Santa Maria mormoravano con l'Almirante, che la proferiva ad alta voce, la preghiera dell'Angelus Domini, istituita nell'anno 1095 da papa Urbano II, al concilio di Clermont, peicrociati che andavano in Palestina, e rimessa in vigore un secolo dopo, da Gregorio IX, per tutto l'orbe cattolico. Mai, fino a quel giorno, squilla vespertina e preghiera di cristiani s'erano udite più lontano nell'aria. Le navi di Cristoforo Colombo erano allora a trecento leghe di là dai confini d'Europa.
La preghiera dell'Angelus era finita da poco, e tutti i marinai che non erano di guardia alle vele, in vedetta sulla gabbia, o al timone, si disponevano a scendere nei ranci sotto coperta, quando una strana luce apparì davanti a loro, quattro o cinque leghe, lontana sul mare. Una striscia luminosa e rossastra si dipingeva nel cielo, solcandolo ad arco, e facendo sentire un alto fragore, come di artiglierie sparate in distanza. Pareva di vedere una palla di ferro rovente, o parecchie, vomitate da un mortaio; le quali scoppiassero per via, andando a sprofondarsi nel mare, e lasciando dietro di sè un gran solco di fuoco. La straordinaria grossezza di quel globo luminoso non permetteva di pensare alle stelle cadenti, fenomeno abbastanza comune nelle calde regioni e in certi mesi dell'anno. Nè la più parte di quei marinai avevano veduto mai bòlidi; nessuno ne aveva mai veduto uno così fuor di misura; e del resto, ad ogni fenomeno naturale di cui non si conosce la causa, è più facile sgomentarsi che rinfrancare gli spiriti. Che cosa significava quel razzo? era esso il principio del finimondo? non prenunziava forse tutta una
sequela di scoppi e di rovine?
Ma niente avvenne, di ciò che incominciavano a temere. Del solco luminoso non rimaneva più traccia nel cielo. La pace regnò quella notte e i giorni seguenti. Spirava da levante una brezza viva e costante, che teneva in continuo esercizio le vele, senza dar travaglio all'alberatura e al sartiame. Tutto andava dunque a seconda; favorevoli i segni del cielo, più favorevoli ancora i segni del mare.
Infatti, sentite: s'incominciava a vedere sulla superficie delle acque un grazioso spettacolo. Qua e là galleggianti sui flutti, o, per dir più veramente, sulla liquida lastra del mare, lievemente increspata dalla brezza, si scorgevano piccoli strati, come chiazze di verde. Entrandoci le navi per mezzo, si vedevano quegli strati esser fatti di erbe verdi, tanto verdi che parevano strappate di fresco dalle zolle natali. E le chiazze si facevano a mano a mano più larghe, più frequenti, più fitte.
Fu a tutta prima una festa degli occhi, e per conseguenza una allegrezza dei cuori. L'assenza del verde è la malattia del marinaio. Il verde è il gradito colore della terra. Dicono gli astronomi che a guardarlo dall'osservatorio degli altri pianeti, il nostro globo tramandi una luce di smeraldo, acagione delle sue terre e della vegetazione che le ricopre. Peccato non esser là, su Marte, o su Giove, a vedere la bella figura di pietra preziosa che dobbiamo far noi, nella immensità dello spazio!
- Le isole sono vicine! - gridavano i marinai. - Vedete come son fresche, queste erbe. Sembrano staccate ieri dal suolo.
- Effetto dello stare in acqua; - notava qualcuno.
- E sia, diciamo due giorni, tre, cinque. Ma a lungo andare, marcirebbero. E poichè queste sono così fresche, siano di un giorno o di cinque, la terra dev'essere vicina.
- Mettiamo di sei, e crepi l'avarizia. Io mi contenterei di toccar terra fra sette. -
Così ridevano e scherzavano, dimenticando le recenti paure. Un marinaio si buttò in acqua per cogliere una manata di quelle erbe, e portò a bordo un granchio vivo, che fu subito presentato all'Almirante.
Quel povero crostaceo dell'Oceano non differiva punto punto dagli altri congeneri suoi delle coste d'Europa. Ma dalla sua presenza in quelle latitudini si poteva, a sentire i marinai di Moguer, grandi pescatori nel cospetto di Dio, cavare un eccellente pronostico di spiagge vicine. Essi infatti sostenevano che di granchi, a ottanta leghe da terra, non se ne
ritrovano più.
- Distanza giusta per metterci casa; - bisbigliò Damiano all'orecchio di Cosma. - Non c'è più pericolo di pescarne. -
Poco dopo il granchio, indizio sicuro di terra entro le ottanta leghe di distanza, si vide uno sciame di tonni che vennero a guizzare nella scia delle navi. E poco dopo i tonni che scherzavano in acqua, venne un'altra cingallegra a svolazzare tra l'albero di maestra e il trinchetto della Santa Maria. Fors'anche era la cingallegra dei giorni scorsi, povera cingallegra sperduta, che aveva intenerito il cuore di Cosma. Ma comunque fosse, cingallegra e tonni erano altri indizi di terre vicine. Anche l'onda marina, assaggiata dal pescatore del granchio, e poi via via da altri curiosi, era meno salata in quei paraggi che non fosse nelle acque delle Canarie. E quello, per bacco, era indizio di terre vastissime, di un continente a dirittura, donde si scaricassero nell'Oceano le acque dolci di grandissimi fiumi. E il mare sempre tranquillo; e il vento sempre favorevole. Laggiù da settentrione l'atmosfera un tantino più fosca; altro indizio di terra. E poi un fitto sciame d'uccelli che passavano alti, volgendo a ponente; nuovo e prezioso indizio che da ponente o da tramontana, ma sempre là, davanti a loro, fosse vicina la meta.
La Pinta, grande veliera della squadra, si accostò al bordo della Santa Maria, chiedendo all'almirante la licenza di muovere innanzi liberamente, per iscoprire quella terra benedetta.Martino Alonzo Pinzon si struggeva d'impazienza; sicuro del fatto suo, avrebbe desiderato esser primo a dare la buona notizia. Ma l'almirante non diede la chiesta licenza. Si doveva andar tutti di conserva, per non aversi a smarrire. Ed egli, dai suoi computi, non argomentava vicina la terra. Che ostinazione era la sua? I segni crescevano ad ogni giorno, quasi ad ogni lega di cammino che le navi facevano. Due pellicani non erano proprio allora passati in aria, venendo da ponente? Ora i pellicani non sogliono andar mai lontani oltre venticinque leghe dal lido. Questo non lo dicevano i soli pescatori di Moguer; lo asserivano tutti. E quei grossi nebbioni che si levavano all'orizzonte, senza mestieri di vento, che cos'altro volevano dire se non questo, che il viaggio di scoperta toccava al suo termine?
Bene operava Cristoforo Colombo, resistendo alle domande di Martino Alonzo Pinzon. I suoi computi potevano essere errati; sicuramente lo erano, ma non in guisa da giustificare le speranze precoci della sua gente, poichè la distanza tra l'Europa e il Nuovo Mondo dovea riscontrarsi anche maggiore delle settecento leghe immaginate da lui.
Per intanto egli manteneva la sua autorità; e per il giorno dei disinganni non sarebbe apparso incerto nella sua dottrina, facile ad infiammarsi per ogni nonnulla, come i suoi compagni di viaggio, vagante a caso sui mari, come un avventuriere od un pazzo.
- Stiamo tutti in riga, Martino Alonzo; - gridò egli al comandante della Pinta; - ci sarà gloria per tutti. Gli indizi che osserviamo sono certamente notevoli. Forse ci dimostrano l'esistenza di qualche isola sulla nostra diritta. Ma non mette conto per ora di cercar piccole cose. Vedremo al ritorno. Approfittiamo ora di questo buon vento, e facciamoci avanti verso ponente. Desidero di toccar terra al pari di voi; ma penso che ne siamo ancora distanti un bel tratto. -
E si apponeva al vero. La spedizione era appena a metà strada. Ma non aveva arcipelaghi sulla diritta, nè sulla manca; e i pellicani, le cingallegre, i granchi, i tonni, l'acqua meno salata, i nebbioni, il mare erboso, non significavano niente di ciò che gli altri speravano.
E andavano, frattanto, procedevano fidenti tra quelle chiazze di verde vivo. Ma a grado a grado quelle chiazze crescevano, si allargavano, e presto non si vide che una chiazza sola; tutto il mare, intorno alle navi, era verde per quello strato di erbe, come è verde un palude, un serbatoio di acque stagnanti. E ad un certo punto, quello strato d'erbe era così fitto da impedire il corso alle caravelle, obbligando i marinai a spenzolarsi dalla prora coi lunghi aldighieri in pugno, per rompere eallontanare l'ostacolo.
Era la prima volta che i marinai della vecchia Europa vedevano quelle praterie galleggianti. Ignoravano perciò che il mar di Sargasso, come fu chiamato di poi dalle alghe di cui è formato, occupa nel mezzo dell'Atlantico uno spazio otto volte più vasto della penisola Iberica. La formazione di quello strato verde non è più un mistero per la scienza, dopo la scoperta del gulf stream, ossia della corrente del golfo, il gran fiume oceanico che si parte dal polo antartico rimontando fino all'artico, ma partendosi a mezzo il suo corso in due correnti, una delle quali costeggia l'Africa e l'altra va a far gomito nel golfo del Messico, lasciando nel centro un vasto campo di mare più tranquillo e più freddo, nel cui fondo vanno a finire tutti i tronchi di alberi, carcami di navigli, ed ogni materia pesante travolta dalle acque, mentre alla sua superficie si raccolgono e galleggiano tranquille come in uno stagno tutte le erbe marine, strappate dagli abissi dell'Oceano.
I marinai si erano rallegrati da principio alla vista del verde. Avevano
anche riso, vedendosi costretti a far piazza pulita con gli aldighieri. Ma non si può rider sempre; e dopo aver riso, incominciarono a seccarsi; dopo essersi seccati, tornarono a sgomentarsi da capo. Quegli strati d'erbe non si sarebbero fatti a mano a mano più profondi, tanto da imprigionare a dirittura le navi? Non era possibile che i mostri temuti fossero per l'appunto in agguato dietro a quei monti di viscida verzura? E se non erano mostri, non potevano essere bassi fondi, secche e frangenti, in cui dovessero incagliare le caravelle? Dei mostri non temeva l'almirante; ma bene incominciò a temere anch'egli delle secche. A lui, memore di tutti i testi delle antiche scritture, ritornava in mente l'Atlantide di Platone, quell'Atlantide inabissata, i cui resti potevano benissimo essere rimasti a fior d'acqua, o alti tanto sott'acqua da cagionar gravi danni alle carene delle navi. Ma questi timori erano presto dissipati dallo scandaglio, che fu gittato più volte e non trovò mai fondo, neanche con dugento braccia di sagola.
- Animo, dunque! - diss'egli, dopo parecchie di quelle prove convincenti. - Abbiamo varcati oramai gli strati più fitti, e il pericolo dei frangenti e delle secche è passato, se pure c'è stato mai. Vedete poi come è costantemente favorevole il vento.
- Sì, ben dite, signore, costantemente! - rispose per tutti il pilota Perez Matheo Hernèa. - Soffia sempre da levante, questo vento benedetto!
- Non sempre; - disse l'almirante. - Qualche volta è caduto; e abbiamo avuto un po' di brezza da ponente. Rara, se vogliamo; ma basta a dimostrarci che anchequi comanda la legge della varietà.
- Con questo particolare, per altro; - replicò il pilota; - che quando soffia il vento da levante si fa molto cammino, e quando soffia da ponente non ha nemmeno la forza di sbatacchiar le vele contro gli alberi.
- Orbene, che volete voi dir con ciò, Perez Hernèa?
- Che per andare all'incerto, il vento aiuta; ma che, se dovessimo dar volta, per ritornarcene a casa, il vento non ci aiuterebbe più. Ecco, signore, con vostra licenza, e col debito rispetto, quello che voglio dir io. -
L'almirante aggrottò le ciglia, alle parole dell'Hernèa. Ma si contenne, e, per non averlo a riprendere prima del tempo, si provò perfino a scherzare.
- Bravo il mio pilota! - diss'egli. - Uomo di provato coraggio com'è, penserebbe egli a ritornare? proprio ora, che siamo tanto vicini alla
meta?
- Eh, vicini!... vicini!... - brontolò il pilota. - Qui non si capisce più nulla. Ma la vostra esperienza, signore, che cosa può dirmi, intorno a questo vento di ponente che non ha forza di muovere una vela?
- Che cosa posso dirvene io, Perez Hernèa? Sa il marinaio perchè il vento spiri tanti giorni da un lato, e poi d'improvviso si volti? Verrà giorno, io spero, che questo ed altri segreti dell'ordine naturale saranno conosciuti. Per ora governiamoci con la pratica nostra. Ci sono venti di mare e di terra, di golfi e di canali, ed alti e bassi, e forti e deboli. Per prevederne l'andamento bisognerebbe conoscere i paraggi. Voi conoscete benissimo ogni particolarità dei venti che soffiano nel canale del Rio Tinto, e in quello dell'Odiel; non è vero?
- Certamente. Poveri a noi, se non avessimo pratica dei brontoloni di casa nostra.
- Ebbene, qui sono altri brontoloni; - replicò l'almirante. - E siamo in casa d'altri, e non li conosciamo ancora. Ma non sarà sempre così. Quando ci avremo fatta la mano, sapremo come governarci con loro. Per ora, osserviamo e studiamo. A me intanto par di capire una cosa: che qui, come altrove, certi venti sono proprii di certe stagioni. Qui, ora, è la stagione in cui regna il levante; approfittiamone. Verrà la stagione in cui soffierà il suo contrario, e un po' più forte che non abbia fatto finora. Anche debole, lo abbiamo sentito; ne conosciamo dunque l'esistenza. E forse ci ha dato questo indizio di sè, per levare ogni dubbio a voi, sospettoso uomo. A me dice ancora che una terra è laggiù, donde egli viene a battaglia, ma finora con poca forza di resistenza. Ed è meglio così,per la nostra navigazione; non pare anche a voi? -
Perez Hernèa si acquetò, per allora. L'almirante aveva ragioni per tutti i dubbi, per tutti gli argomenti in contrario. Ma egli non era da per tutto, e non poteva vincere ugualmente tutti i pregiudizi di una gente ignorante e ostinata. Quella lunga navigazione dove gli indizi favorevoli non conducevano a nulla, quel verde che non finiva mai, quel vento sopra tutto, quel vento che soffiava costantemente da una parte, come per portarli ferocemente a capitar male dall'altra, mettevano tutti in apprensione; e urtava i nervi la inflessibilità dell'almirante, di quello straniero che voleva condurre tanti poveri figliuoli d'Andalusia alla morte, per un suo puntiglio, per una sua stravaganza.
Molti erano stati incerti fino allora se egli fosse un impostore od un pazzo. Incominciavano a creder tutti che gli avesse dato volta il cervello.
Queste fissazioni, che mostrano tanta imperturbabile serenità, son veramente proprie dei pazzi.
E non si chiedeva più nulla a lui. Si obbediva ai suoi ordini, materialmente, macchinalmente, senza metterci punto di quell'ardore, di quella buona volontà che fa della obbedienza una cooperazione intelligente.
Per contro, incominciavano da prora i crocchi, i capannelli, quei borbottamenti, quelle mormorazioni, che non sono ancora il principio della rivolta, ma ne accennano l'intenzione. Le povere caravelle malconce; i viveri scarsi; l'acqua fradicia; i venti contrari al ritorno; di coste all'orizzonte neppur l'ombra; mare, sempre mare, nient'altro che mare; quella era la prospettiva. E quanto sarebbe durata?
Indizi di terre ne erano venuti.... Sì, anche troppi, ed era il caso di richiamarsene, come della famosa sua grazia a sant'Antonio di Lisbona. Quei pellicani, quelle cingallegre, tutti quelli uccelli di passo che erano trascorsi a squadre, a sciami, a nembi, sul capo dei naviganti, ora venendo da prora via, ora da poppavia, non indicavano essi, nella capricciosa direzione del volo, che qualche spirito maligno si prendeva giuoco di loro? E qui taluni notavano che quei negri volatori, passando sulle caravelle, avevano fatto sentire un acuto stridìo. Sì, certamente, era uno scherno di potenze invisibili; le quali infondevano con vane immagini le speranze nei cuori, e si beffavano ancora dei troppo creduli marinai. E quegli uccelli, quei tonni, quelle nebbie basse all'orizzonte, non erano che apparizioni diaboliche. I mostri non sorgevano ancora dalle acque, dond'erano aspettati; si mostravano invece all'orizzonte, brulicavano in aria.
Questa spiegazione degli indizi ingannatori apparve così chiara, che fu creduta a breve andare da tutti. No, non più avanti, per contentare il capriccio dell'avventuriere, del pazzo. Quell'uomo voleva trovar terra a ponente, o morire; proposito da disperati! Ma egli poteva farlo, egli che non aveva famiglia; non potevano essi, che a Palos, a Huelva,a Moguer, lasciavano occhi per piangerli. Bisognava dunque ricusargli obbedienza, forzarlo a ritornare indietro. Chi li avrebbe biasimati? chi li avrebbe accusati di viltà? Si erano spinti quattrocento e più leghe sull'Oceano, sul mare tenebroso, spavento di tutti i naviganti del mondo. Che si voleva di più? che morissero tutti di fame, errando inutilmente sopra un mare senza sponde? o che nei gorghi di quel mare trovassero il sepolcro?
Le coscienze più timorate si davano pensiero di ciò che avrebbero