"
"Spero che si rammenteranno di darle il suo piattino di latte quando prenderanno il tè. Cara Dina mia! Vorrei che tu fossi meco quaggiù! Non vi son sorci nell'aria, ma sai, tu potresti afferrare una nottola ch'è simile al sorcio. Ma che! i gatti mangiano le nottole?" E quì Alice cominciò a sonniferare, e fra il sonno e la veglia continuò a ruminare fra' denti, "I gatti mangiano le nottole? I gatti mangiano le nottole?" E talvolta, "Le nottole mangianoi gatti?" perchè, vedete, non potendo rispondere a nessuna delle due quistioni, non le importava se invertiva il senso di esse. Sonnecchiava di già, e proprio allora cominciava a sognare che se ne andava a braccetto con Dina e che le diceva con faccia austera: "Dina, dìmmi la verità: hai tu mai mangiata una nottola?" quando, tonfete! cascò d'un subito sopra un mucchio di ramicelli e di foglie secche, e la caduta finì.
Alice non si fece male e saltò in piedi lesta e pronta: guardò in alto, era bujo affatto: davanti a lei sfilava un lungo corridoio percorso dal Coniglio bianco ch'era sempre in vista. Non c'era tempo da perdere: Alice, come se avesse le ali, gli corse appresso, e sentì che sclamava, mentre svoltava a una cantonata, - "Giurammio! gli è tardi davvero!" Stava lì lì per raggiungerlo, ma appena passò la cantonata il Coniglio non si vide più; ed ella si trovò in una sala lunga e bassa, illuminata da una fila di lampade che pendevano dalla volta.
V'erano porte tutt'intorno alla sala, ma erano tutte serrate, e dopo che Alice andò su e giù provando tutti gli usci per vedere se fosse possibile d'aprirne qualcheduno ma sempre inutilmente, si mise a camminar mestamente nel mezzo della sala, pensando come mai avrebbe potuto riuscirne fuori.
Tutt'a un tratto capitò vicina a un piccolo tavolino di cristallo solido e sorretto da tre piedi: non c'era altro su d'esso che una chiavettina d'oro: or la prima idea ch'ebbe Alice fu che quella potesse aprire uno degli usci della sala; e provò - ma oimè! o le toppe erano troppo grandi, o la chiavettina era troppo piccola; ma comunque fosse, non potette aprirne alcuno. Ciò non di meno, avendo fatto un secondo giro nella sala, capitò davanti a una cortina bassa che non aveva osservata prima, e dietro ad essa v'era un piccolo uscio, alto quindici pollici o giù di lì: provò la chiavettina d'oro se andasse alla toppa, e con molta allegrezza vide che c'entrava per l'appuntino!
Alice aprì l'uscio e vide che dava a un piccolo corridoio, largo quanto una buca da topi: s'inginocchiò, e vide al di là del corridoio il più bel
giardino del mondo. Oh! quanto desiderò d'uscir fuori da quella sala buja per correre su que' prati di fiori risplendenti, e lungo le chiare e fresche acque delle fontane, ma non l'era dato neppure di cacciare il capo fuori della buca; "e ancorchè il mio capo potesse passarvi," pensò la povera Alice, "mi servirebbe poco senza farci passare anche le spalle. Oh quanto bramerei riserrarmi come un telescopio! Credo che potrei farlo, se sapessi soltantocome cominciare." Poichè essendo ultimamente accadute tante cose straordinarie, Alice avea cominciato a persuadersi che poche fossero le cose veramente impossibili.
Era proprio tempo perso star lì piantata davanti all'usciolino, perciò Alice ritornò verso la tavola con una mezza speranza di potervi trovare sopra un'altra chiave, o almeno un libro il quale insegnasse alla gente a riserrarsi come un cannocchiale: questa volta vi trovò un'ampolla,("e certo non c'era prima," disse Alice,) e aveva attaccato al collo un cartello sul quale a lettere di scatola era magnificamente scritta questa parola "BEVI."
Và benissimo il dire "Bevi," ma Alice ch'era una ragazzina prudente, lì per lì non volle bere. "Nò, voglio prima vedere se c'è scritto 'veleno;'" poichè ella aveva letto molte belle novellette sopra ragazzi ch'erano stati abbruciati, e mangiati vivi da bestie feroci, e cose simiglianti, e tutto ciò perchè non vollero ricordarsi della prudenza ch'era stata loro insegnata in casi simili; come per esempio, non maneggiare le molle infocate perchè scottano; se col coltello ti fai sul dito un taglio molto profondo, certo n'uscirà sangue; ed ella non avea dimenticato quell'altro avvertimento, se tu bevi smodatamente d'una bottiglia che ha l'iscrizione "veleno," presto o tardi ti farà male.
Ciò non di meno quell'ampolla non aveva l'iscrizione "veleno," perciò Alice si avventurò di assaggiarne il contenuto, e trovandolo delizioso(di fatto aveva un sapore misto di torta di ciliegie, di crema, d'ananasso, di tacchino arrosto, di torrone, e di crostini burrati), lo vuotò tutto d'un fiato.
"Che curiosa sensazione!" disse Alice: "mi vo ristringendo come un cannocchiale!"
Ed era proprio così: non aveva più che dieci pollici d'altezza, e il suo bel visino s'illuminò di gioja pensando che finalmente era giunta alla giusta statura per traversare l'usciolino, ed entrare nel bel giardino. Prima aspettò qualche minuto per vedere se rimpicciolisse di più; è vero che provò una certa ansietà su quel mutamento; "perchè, sapete, potrei
rimpicciolirmi tanto da sparire affatto come una candela," disse Alice. "A chi assomiglierei allora?" E cercò di farsi un'idea dell'apparenza della fiamma d'una candela smorzata, poichè non potea nemmeno ricordarsi se mai avesse veduta una cosa simile!
E scorsero alcuni momenti, e veggendo che nulla di nuovo le accadeva, si accinse ad entrare nel giardino; ma - povera Alice! - quando fu all'uscio, si accorse che avea dimenticata la chiavettina d'oro, e quando si rivolse verso la tavola dove l'avea lasciata, vide che non potea più arrivarla: essa la vedea chiaramente a traverso del cristallo, e fece ogni sforzo possibile per arrampicarsi ad uno de' piedi della tavola e montar su, ma gli era troppo sdrucciolevole; e dopo essersi affaticata invano per vincere quella difficoltà, la poverina si sedette e pianse.
"Via! chevale abbandonarsi al pianto!" disse Alice a sè stessa; "io ti consiglio invece, o Signorina, di smetter subito quel piagnucolare!" Generalmente ella dava a sè stessa dei buoni consigli(benchè raramente poi li seguisse), e talvolta si rimproverava tanto severamente che le lagrime le scorrevano per le gote; e si rammentò che una volta stava lì lì per schiaffeggiarsi perchè s'era truffata in una partita di croquet che giuocava contro a sè medesima, che questa straordinaria bimba trovava piacere a fingersi di essere due persone. "Ma ora è inutile voler credermi due persone," pensò la povera Alice, "me ne resta appena tanto per comporne una!".
Ed ecco, le cadde sott'occhio una cassettina di cristallo che giaceva sotto la tavola: l'aprì, e vi trovò dentro un piccolo pasticcino, sul quale, con uva di Corinto, era scritto in belli caratteri "MANGIA." "Bene! lo mangerò," disse Alice, "e se mi farà crescere di molto, giungerò ad afferrare la chiavettina, e se mi farà rimpicciolire mi striscerò sotto l'uscio: così in un modo o in un altro entrerò nel giardino, e poi, sarà quel che sarà!"
Ne mangiò un bocconcino, e mettendosi la mano sul capo, sclamò ansiosamente: "In qual modo? In qual modo?" per vedere in qual modo si mutava, ma restò molto sorpresa nel vedersi della stessa statura: certo, così accade a tutti coloro che mangiano pasticci, ma Alice s'era tanto abituata a veder cose straordinarie, che le sembrava una cosa stupida e sciocca quella di crescere, come si cresce generalmente.
E tornò alla bisogna, e in pochi istanti ingoiò tutto il pasticcio.
LO STAGNO DI LAGRIME.
"Curiosissimo e sempre più curiosissimo!" gridò Alice(era tanta la sua sorpresa che non sapeva più parlar correttamente la sua lingua); "mi stò allungando come un cannocchiale, e il più lungo che mai vi sia stato! Addio piedi!"(perchè appena guardò giù a' suoi piedi le sembrò che li avesse quasi perduti di vista, tanto erano lontani). "Oh i miei poveri piedini! chi mai in terra v'infilerà le calze, e vi metterà le scarpettine? Davvero io non potrò farlo più! Oramai sarò tanto lungi da voi, che certo io non mi prenderò più briga di voi altri: bisogna che vi accomodiate alla meglio; - eppure bisognerebbe ch'io li trattassi bene," pensò Alice, "se nò, non vorranno andare per la via ch'io vorrei battere! Vediamo un po': ogni anno a Natale darò loro un bel pajo di stivaletti."
E andava mulinando col cervello come farebbe. "Glieli manderò col procaccino," pensò la bimba; "ma gli è davvero strano il mandar regali a' proprii piedi! E quanto sarà curioso l'indirizzo!
Al Signor Piedestro d'Alice,
Tappeto,
Presso il parafuoco,
(coi saluti d'Alice).
Meschina! quante sciocchezze vo dicendo!"
Giustoallora il suo capo urtò contro la volta della sala: aveva più di nove piedi d'altezza! Subito adunghiò la chiavettina d'oro, e via, verso l'uscio del giardino.
Povera Alice! Tutto quello che potea fare consisteva nel giacere, appoggiando il fianco per guardare il giardino con la coda d'un occhio; ma il penetrarvi dentro era diventato più difficile che mai: sedette dunque, e si rimise a piangere.
"Ti dovresti vergognare," disse Alice, "figurati, una gran ragazzona come te"(e davvero lo poteva dire allora) "fare la piagnolosa! Smetti subito ti dico!" Ma pure continuò, versando lagrime a secchie, sinchè formò uno stagno intorno a lei di quasi quattro pollici d'altezza, e che
giungeva a metà della sala.
Qualche istante dopo sentì in lontananza come uno scalpiccío; subito si forbì gli occhi per vedere chi fosse. Era il Coniglio bianco che ritornava, splendidamente vestito, con un pajo di guanti bianchi in una mano, e un gran ventaglio nell'altra: veniva trottando frettolosamente, e mormorando fra sè stesso, "Oh! la Duchessa, la Duchessa! Se n'andrà sulle furie perchè l'ho fatta aspettare!" Alice era tanto fuori di sè che avrebbe chiesto soccorso a chiunque le fosse capitato: così quando il Coniglio le fu vicino, gli disse con voce tremula e sommessa, "Di grazia, Signore - - ." Il Coniglio trasaltò, gli caddero a terra i guanti e il ventaglio, e in mezzo a quella tenebrìa si mise a correre di traverso come se avesse le ali alle zampe.
Alice raccattò il ventaglio e i guanti, e perchè la sala pareva una stufaiuola si rinfrescò sventolandosi e parlando fra sè: "Meschina me! Come ogni cosa è strana quest'oggi! Eppure ieri le cose andavano secondo il solito. Non mi sorprenderebbe se stanotte fossi stata scambiata! Vediamo: non ero io, io stessa che mi levai questa mattina? Mi pare di rammentarmi ch'io mi trovai un poco diversa. Ma se non sono la stessa dovrò rivolgermi questa domanda: Chi mai dunque son io? Ah! quì stà l'imbroglio!" E ripensò a tutte le ragazze che conosceva, e che erano dell'età sua, per vedere se per caso fosse stata trasformata in una di quelle.
"Certo io non sono Ada," disse, "perchè i suoi capelli sono
inanellati, e i miei non lo sono punto; certo non sono Isabella,
poichè io so tante belle cose, e quella poverina sa tanto poco!
Eppoi Isabella è Isabella, ed io sono io. Meschina! che imbroglio è
questo! Proviamo se io mi rammento tutte le cose che sapeva una
volta: quattro volte cinque fanno dodici, e quattro volte sei fanno
tredici, e quattro volte sette fanno - oimè! Se vado di questo
passo non giungerò mai a venti! Delresto la Tavola Aritmetica non significa nulla: proviamo la
Geografia: Londra è la capitale di Parigi, e Parigi è la capitale
di Roma, e Roma - - , nò, ho sbagliato tutto! Davvero devo essere
stata trasformata in Isabella! Proverò a ripetere 'Rondinella
pellegrina;'" e si mise le mani conserte al petto come se stesse
per ripetere le lezioni, e cominciò a recitare quella Romanza, ma
la sua voce suonava rauca e strana, e le parole non le uscivano
dalle labbra come una volta: - "'Rondinella porporina
Che ti posi sul loggione
Raccattando ogni mattina
La zanzara ed il moscone,
Li vuoi friggere in padella
Porporina Rondinella?'"
"Scommetto che le vere parole della Romanza non son queste," disse la povera Alice, e le ritornarono i lucciconi agli occhi. "In somma," continuò a dire,-"io devo essere Isabella, e dovrò andare a vivere in quella casuccia, e non aver quasi più giuocattoli, e tante lezioni da imparare! Ma se sono Isabella, caschi pure il mondo, io resterò quì! Inutilmente, signori miei, caccerete la testa dal soffitto per dirmi 'Carina, vieni su!' Io alzerò soltanto gli occhi, e dirò loro, 'Chi son io? Ditemelo prima, e se sarò quella che voi cercate, verrò su; se no resterò quì inchiodata sino a che sarò qualchedun'altra' - ma, oimè!" sclamò Alice, versando un fiume di lagrime. "Vorrei che mettessero fuori la testa! Son tanto stanca d'esser quì, sola!"
E si guardò le mani, e si meravigliò vedendo che mentre parlava fra sè stessa aveva infilato uno de' guanti bianchi che il Coniglio avea lasciati cadere. "Come mai ho potuto far ciò?" disse. "Forse sono ridiventata piccina."
Si levò ed avvicinossi alla tavola per misurarsi con quella, - osservò che, per quanto le pareva, era ridotta a circa due piedi d'altezza e che andava impiccolendosi rapidamente: indovinò che la causa di questa nuova trasformazione era il ventaglio che aveva in mano, e subito lo buttò a terra, - e fu proprio a tempo, altrimenti assottigliava tanto da sparire totalmente.
"L'ho scampata bella!" disse Alice tutta impaurita da quel subitaneo mutamento, ma lieta, però perchè esisteva ancora; "ed ora andiamo al giardino!" e rivolse sollecitamente i passi verso l'usciolino; ma ahi! l'usciolino era chiuso, e la chiavettina d'oro era sulla tavola come prima; "le cose vanno proprio alla peggio" pensò la derelitta fanciulla, "non sono stata mai tanto piccina! E protesto che tutto ciò è un brutto affare, ma brutto assai!"
Mentre diceva queste parole, sdrucciolò, e zaffete! cascò sino al mento
nell'acqua salsa. Imprima credette esser caduta nel mare, "e in tal caso potrò tornare a casa per la ferrovia," disse fra sè.(Alice era stata unavolta sola ai bagni di mare, d'allora in poi s'imaginò che dovunque si va, verso la spiaggia, trovansi casotti da bagni lungo il mare, ragazzi che zappano l'arena con le vanghe di legno, poi una fila di case mobiliate, e dietro ad esse una stazione di strada ferrata). Ma subito si accorse ch'era caduta nello stagno delle lagrime che avea versate quando aveva nove piedi d'altezza.
"Peccato ch'io abbia pianto tanto!" disse Alice, nuotando, e cercando d'afferrar la riva.
"Ora sì che sarò punita, affogando nelle mie proprie lagrime! La sarà proprio una cosa strana! Ma tutto è strano oggi."
E sentì qualche cosa che sguazzava nello stagno, si rivolse e credette vedere un elefante di mare o un ippopotamo, ma si rammentò ch'era assai piccina allora, e scoprì ch'altro non era che un sorcio, cascato come lei nello stagno.
Pensò Alice, "Forse farei bene di parlare a questo sorcio. Ogni cosa è talmente straordinaria quaggiù che non mi stupirei se egli potesse parlare: ad ogni modo, proviamo." E cominciò: "O Sorcio, sai tu la via per uscire da questo stagno? O Sorcio, io mi sento veramente stanca di nuotare quì!"(Alice pensò che quello era il vero modo di parlare ad un sorcio: non aveva mai fatto una cosa simile prima, ma si rammentò d'aver letto nella Grammatica Latina di suo fratello, "Un Sorcio - di un Sorcio - a un Sorcio - un Sorcio - O Sorcio!") Il Sorcio la guardò fissamente, la squadrò ben bene co' suoi piccoli occhietti, ma non rispose niente.
"Forse non intende la mia lingua," disse Alice; "scommetto ch'è un Sorcio Francese, venuto quì con Napoleone."(Eh già! con tutte le sue cognizioni storiche, Alice non sapea al giusto le date che citava.) E rincominciò "Où est ma chatte?" era questa la prima frase ch'avea trovata nel suo libriccino di Lingua Francese. Il Sorcio fece un salto nell'acqua, e tremò a verghe. "Le domando perdono!" soggiunse subito Alice, avvedendosi d'avere scossi i nervi delicati della bestiolina. "Avea dimenticato che lei non ama i gatti."
"Amare i gatti, io!" sclamò con voce acuta e rabbiosa. "Amerebbe lei i gatti, se fosse me?"
"Forse no," rispose Alice con voce carezzevole, "ma non si adiri, sa!
Eppure io vorrei farle vedere Dina, la gatta nostra; se la vedesse ne sarebbe innamorato pazzo. La è una bestiolina tanto carina e quietina," e nuotando svogliatamente e parlando talvolta a sè stessa, continuava Alice, "e fa le fusa per benino quando giace accoccolata presso al focolare, leccandosi le zampine e nettandosi la faccia - e l'è tanto soffice e soave alle carezze - e l'è proprio un paladino nell'afferrare i sorci- oh mi perdoni!" sclamò di nuovo Alice perchè questa volta il Sorcio aveva il pelo tutto arruffato, e sembrava offeso immensamente, "Noi non ne parleremo più se ciò le incresce."
"No, davvero!" gridò il Sorcio che avea la tremarella sino alla punta della coda. "Come se io volessi parlare dei gatti! La nostra famiglia odiò sempre i gatti; bestiaccie schifose, volgari e basse! Non mi faccia sentir più il nome loro!"
"No, davvero!" rispose sollecitamente Alice, e mutando argomento, soggiunse. "Dica, le piacciono forse - le piacciono - i - i cani?" Il Sorcio non rispose, e Alice seguitò così. "Vicino a casa nostra, c'è un bellissimo cagnolino, se lo vedesse! È un canbassetto con certi belli occhi luccicanti, e col pelo cenerino, arricciato e lungo! Ei busca, benissimo le cose che gli si gittano, e siede sulle zampine di dietro per pitoccare il suo desinaruccio, e fa tante altre belle cosettine - non potrei neppure rammentarne la metà - appartiene a un fattore, ed egli dice che la bestiolina vale proprio un Perù, perchè gli è utile di molto, e uccide tutt'i topi, e - oimè!" gridò Alice tutta sconsolata. "Temo d'averla offesa di nuovo!" E davvero l'aveva offeso perchè il Sorcio si allontanò nuotando furiosamente ed agitando le acque dello stagno.
Alice lo richiamò con un soave tuono di voce, "Sorcio caro, ritorni pure, ed io le prometto che non parlerò più di gatti nè di cani!" A queste parole, il Sorcio si rivoltò indietro, nuotando lentamente verso di lei: la sua faccia era pallida(di rabbia, pensò Alice), e disse con voce sommessa e tremante, "Approdiamo alla spiaggia, e le racconterò la mia storia, allora lei capirà perchè io detesti tanto i gatti e i cani."
Era proprio tempo d'uscir fuori, perchè lo stagno si stava riempendo di uccelli e d'altri animali che v'eran caduti dentro: un'Anitra, un Dronte, un Lori, un Aquilotto, ed altre curiose bestioline. Alice aprì la via, e tutti, nuotando, la seguirono alla spiaggia.
CORSA ARRUFFATA, E RACCONTO CON LA CODA.
L'assemblea che si riunì alla spiaggia era oltremodo bizzarra - figuratevi, gli uccelli avevano le piume fradice, e gli altri animali avevano il pelo incollato a' loro corpicciuoli; e tutti erano inzuppati, grondanti acqua, tristi e malcontenti.
Naturalmente la prima quistione che fu posta fu quella di sapere come si sarebbero asciugati: si consultarono insieme su questo argomento, e pochi minuti dopo Alice si mise a parlare familiarmente con loro, come se li avesse conosciuti da un secolo. Ebbe una lunga discussione col Lori, ma bentosto quest'ultimo le fece un viso arcigno, e disse perentoriamente, "Son più vecchio di lei, perciò devo saper più dilei;" ma Alice non volle convenirne se prima non le avesse detto quanti anni aveva. Il Lori non volle dirlo, e la loro conversazione cessò.
Finalmente il Sorcio, che sembrava essere persona d'una certa autorità fra loro, gridò, "Si seggano signori, e mi ascoltino! Io seccherò tutti in pochi momenti!" Tutti sedettero, in circolo, col Sorcio in mezzo. Alice gli affisò ansiosamente gli occhi in faccia, perchè era sicura che se non si fosse presto rasciugata avrebbe guadagnata una infreddatura solenne.
"Hem!" disse il Sorcio con aria autorevole, "sono tutti all'ordine? Questa domanda è bastantemente secca, mi pare! Silenzio tutti, di grazia! 'Il Generale Oudinot che venne a restaurare il governo papale, fu presto secondato dal Re di Napoli, e dalle truppe della Regina di Spagna - - '"
"Uff!" fece il Lori, con un brivido.
"Scusi!" disse il Sorcio tutto accigliato, ma con molta civiltà: "Diceva qualche cosa?"
"Le pare!" rispose frettolosamente il Lori.
"Mi era parso di sì," soggiunse il Sorcio. - "Continuo dunque. 'Il Re di Napoli e la Regina di Spagna, con Oudinot, sposarono la causa del Papa, ed anche il Granduca di Toscana trovò la cosa - - '"
"Trovò che cosa?" disse l'Anitra.
"Trovò la cosa," replicò vivamente il Sorcio: "ella sa che significa 'la cosa.'"
"Sò bene che significa 'la cosa' quando io trovo qualche cosa," rispose l'Anitra: "generalmente trovo un ranocchio o un verme. Or la quistione stà 'nella cosa,' che cosa ha trovato il Granduca?"
Il Sorcio non gli badò punto e si affrettò d'andare innanzi, " - trovò la cosa ben fatta cioè di unirsi ad Oudinot, al Re di Napoli ed alla Regina di Spagna, per assistere il Papa e rimetterlo sul trono. Nel principio il Papa usò moderazione ma la violenza dei suoi consiglieri - - ' Ebbene, carina, come si sente ora?" disse, rivolgendosi ad Alice.
"Bagnata come un pulcino," rispose Alice mestamente, "non mi pare che la sua storiella mi secchi abbastanza."
"Allora," disse il Dronte con voce solenne, e levandosi in piedi, "propongo che il parlamento si aggiorni, acciochè sieno adottati rimedii più energici - - "
"Ma parli italiano!" sclamò l'Aquilotto. "Non capisco la metà delle sue parolone, e forse lei stesso non ne intende cica!" E l'Aquilotto abbassò la testa per nascondere un sorriso, ma alcuni degli uccelli sghignazzarono apertamente.
"Volevo dire," continuò il Dronte, facendo il broncio, "che il miglior modo di seccarsi sarebbe quello di fare una Corsa arruffata."
"Che è la Corsa arruffata?" domandò Alice; non le premeva molto di saperlo, ma il Dronte taceva come se qualcheduno dovesse parlare, mentre niuno sembrava disposto ad aprire becco o bocca.
"Ecco," disse il Dronte, "il miglior modo di spiegarla è quellodi eseguirla."(E siccome vi potrebbe venire la voglia di provare questa Corsa in qualche giorno d'inverno, vi dirò come il Dronte la diresse.)
Imprima tracciò la linea dello steccato, una specie di circolo("già, non importa che sia ben tracciata," disse), e poi tutta la comitiva entrò nello steccato mettendosi chi quà, chi là. Non si udì "Uno, due, tre, - via!" ma cominciarono a correre a piacere, e si fermarono quando n'ebbero voglia, di tal che non si seppe quando la Corsa fosse terminata. Ad ogni modo, dopo che ebbero corso una mezz'ora o quasi, e si sentirono tutti ben seccati, il Dronte sclamò tutt'a un tratto, "La corsa è finita!" e tutti l'intorniarono anelanti, e sclamando, "Ma chi ha vinto?"
Questa domanda impensierì immensamente il Dronte, perciò sedette e restò lungo tempo con un dito appoggiato alla fronte(tale e quale come è rappresentato Dante), mentre gli altri zittivano. Finalmente il Dronte disse, "Tuttiquanti hanno vinto, e tutti debbon'essere premiati."
"Ma chi distribuirà i premii?" replicò un coro di voci.
"Essa, s'intende," disse il Dronte, indicando Alice con un dito; e tutti si affollarono intorno a lei, gridando confusamente, "I premii! I premii!"
Alice non sapea che fare, e nella disperazione cacciò la mano in tasca, e ne cavò una scatola di confetti(per buona sorte l'acqua non v'era entrata dentro), e ne distribuì tutt'intorno. Ce ne erano appunto uno per uno.
"Ma essa dovrebbe avere un premio," disse il Sorcio.
"S'intende," soggiunse il Dronte assai gravemente. "Che altro ha in saccoccia?" disse, rivolgendosi ad Alice.
"Soltanto un ditale," rispose mestamente la fanciulla.
"Dia quì," replicò il Dronte.
E tutti l'accerchiarono di nuovo, mentre il Dronte con molta gravità le offrì il ditale, e disse, "La preghiamo di accettare quest'elegante ditale;" e appena finito questo breve discorso, tutti applaudirono.
Alice giudicò tutto quest'affare come una cosa sovranamente stupida, ma avevano tutti un contegno talmente grave ch'ella non osò ridere, pure non seppe che cosa rispondere, ma semplicemente s'inchinò e prese il ditale assumendo la migliore serietà del mondo.
Rimaneva ora il mangiare i confetti; ciò produsse un po' di rumore e di confusione, poichè gli uccelli grandi si lagnavano che non avean potuto assaporarne il gusto, e gli uccelli piccoli avendoli inghiottiti ne rimasero pressochè strozzati e si dovette loro picchiar la schiena. Ma anche ciò ebbe un termine e sedettero in circolo, pregando il Sorcio di dir loro qualcosuccia di più.
"Si rammenti che mi ha promesso di raccontarmi la sua storia," disse Alice, "e la ragione per cui odia i 'G' e i 'C'" soggiunse sommessamente, e un poco con paura che di nuovo si offendesse.
"La mia è una storia lunga e trista, e conla coda!" rispose il Sorcio, rivolgendosi con un sospiro ad Alice.
"Certo è una lunga coda," disse Alice, guardando con meraviglia alla coda del Sorcio; "ma perchè la chiama trista?" E continuò a pensarvi sopra imbarazzata mentre il Sorcio parlava; e così l'idea che si fece di quella storia con la coda fu presso a poco questa:
Furietta disse
al Sorcio,
che in casa
avea
trovato:
Andiamo
al Tribunale,
ti voglio
processare.
Non chiedo
le tue scuse,
o Sorcio
indiavolato,
Quest'oggi
non ho nulla
a casa mia
da fare. -
Disse a
Furietta
il Sorcio:
Ma come
andremo
in Corte?
Senza giurì
nè giudici?
Sarebbe
una vendetta!
Sarò giurì
e giudice,
rispose
allor
Furietta,
E passerò
latrando,
La tua
sentenza
a morte.
"Ella non presta attenzione!" disse il Sorcio ad Alice con tuono severo. "A che cosa sta pensando?"
"Le domando scusa," rispose umilmente Alice: "ella è giunta alla quinta curvatura della coda, non è vero?"
"No, doh!" riprese il Sorcio con voce acerba ed irata.
"Che! c'è un nodo?" sclamò Alice sempre pronta e servizievole, e guardandosi attorno. "Mi conceda il favore di disfarlo!"
"Niente affatto," rispose il Sorcio, levandosi e in atto di partire. "Lei m'insulta dicendomi tali scempiaggini!"
"No, davvero!" disse Alice con sottomissione. "Ma lei s'offende tanto facilmente!"
Per tutta riposta il Sorcio si mise a borbottare.
"Di grazia, ritorni, e finisca il suo racconto!" Alice dunque lo richiamò; e tutti gli altri sclamarono in coro, "Via, finisca il racconto!" ma il Sorcio crollò il capo con un moto d'impazienza, ed affrettò il passo.
"Peccato che non sia restato!" disse sospirando il Lori, appena che il Sorcio si perdè di vista; e un vecchio granchio colse quella opportunità per dire alla sua figlia, "Amore mio, ciò ti serva di lezione, e bada a non andar mai in collera!"
"Sta zitto, Babbo," rispose la piccina con un fare sdegnosetto. "Tu provocheresti anche la pazienza d'un'ostrica!"
"Ah se Dina fosse quì!" disse Alice, parlando ad alta voce, ma senza rivolgersi a chi che sia. "Lo porterebbe indietro in un momento!"
"Perdoni la curiosità, chi è Dina?" domandò il Lori.
Alice rispose sollecitamente, perchè la era sempre pronta a parlare della sua prediletta: "Dina è la nostra gatta. È un vero paladino quando va a caccia di sorci! E se la vedeste correr dietro agli uccelli! Visti e presi!"
Questo discorso produsse un impressione vivissima nell'assemblea. Alcuni uccelli volarono via di botto: una gazza vecchia si avviluppò ben bene dicendo, "È ormai tempo di tornare a casa; l'aria della notte mi fa male alla gola!" e un canarino chiamò con voce tremula tutt'i suoi piccini, "Venite, venite carini! Gli è tempo di andare a letto!" E così chi con un pretesto chi con un altro, tuttiandarono via, ed Alice rimase sola.
"Ho fatto male di nominare Dina!" disse fra sè assai mestamente. "Ei pare che niuno l'ami quaggiù, eppure la è la miglior gatta del mondo! Oh Dina mia cara! Chi sa, se ti rivedrò mai più!" E la povera Alice rincominciò a piangere perchè si sentiva tutta soletta e sconsolata. Ma alcuni momenti dopo, sentì di nuovo uno scalpiccío in lontananza, e guardò fissamente, nella speranza che il Sorcio avesse mutato pensiero, e tornasse per finire il suo racconto.
LA CASETTINA DEL CONIGLIO.
Era il Coniglio bianco che ritornava bel bello indietro, guardando ansiosamente quà e là, come che avesse smarrito qualche cosa, e mormorando fra sè stesso: "Oh la Duchessa! la Duchessa! Oh zampine mie! pelle e baffi miei state freschi ora! Ella mi farà impiccare, e ne son tanto sicuro come son certo che le donnole sono donnole! Ma dove mai mi son caduti?" Alice indovinò subito ch'egli andava ricercando il ventaglio e il paio di guanti bianchi, e buona e servizievole com'era, si dette attorno per ritrovarli, ma fu inutile, non si trovarono più - ogni cosa sembrava mutata dal momento ch'era cascata nello stagno; e la gran sala, e il tavolino di cristallo, e l'usciolino erano svaniti totalmente.
Bentosto il Coniglio si accorse di Alice, mentr'ella si affannava alla ricerca, e gridò con voce irata, "Marianna che cosa stai facendo quì? Via corri a casa, e portami un paio di guanti ed un ventaglio! Subito, ti dico!" Alice fu tanto spaventata da quella voce che senza perder tempo corse velocemente verso il luogo indicato, senza dir nulla sullo sbaglio che il Coniglio faceva.
"Mi ha presa per la cameriera," disse fra sè mentre continuava a correre. "Ei sarà molto sorpreso quando scoprirà chi io sia! Ma è meglio recargli il ventaglio e i guanti, cioè, purchè io li possa trovare." E giunse innanzi a una bella casettina, e sull'uscio v'era un cartello inciso sopra una rilucente lamina di ottone, con questo nome "CONIGLIO B." Entrò, senza picchiare all'uscio, e frettolosamente divorò tutta la scala temendo d'incontrare la vera Marianna, ed esser da lei cacciata via dalla casa prima di trovare il ventaglio e i guanti.
"Gli è proprio curioso," pensò Alice, "d'esser mandata da un Coniglio a far servizi! Mi aspetto che Dina vorrà poi mandarmi a far servizi per lei!" E cominciò a fantasticare ciò che in tal caso avverrebbe: "'Siora Alice! Venga quì subito, e si prepari a trottare!' 'Eccomi quì, tata! Ma dovrei far la guardia a questo buco sinchè Dina venga, acciocchè il sorcio non ne scappi.' Però non crederei," continuò Alice, "che permetterebbero a Dina di restarein casa se essa cominciasse a comandare la gente a questo modo!"
E così ciarlando entrò in una cameretta assai pulitina, con una tavola presso al terrazzino, e sopra di essa v'erano(come Alice avea di già sperato) un ventaglio e due o tre paja di guanti bianchi e nitidi; ella prese il ventaglio ed un pajo di guanti, e stava per uscire, quando le cadde sott'occhio un'ampolla che stava vicino allo specchio. Non avea nessun cartello attaccato, con la parola "BEVI," eppure essa la sturò e se
l'avvicinò alle labbra. "Certo qualche cosa di meraviglioso mi accade ogni qual volta bevo o mangio," disse fra sè; "vediamo dunque che cosa produrrà questo liquore. Spero che mi farà crescere di nuovo, perchè sono proprio stanca di vedermi così piccina!"
E così accadde, e molto più presto di quello che si aspettasse: pria che avesse bevuto la metà dell'ampolla sentì che il suo capo premeva contro la volta, e dovette smetter subito, perchè rischiava di rompersi la nuca. Immediatamente depose l'ampolla, dicendo, "Basta per ora - spero che non crescerò di più - ma così come sono non potrò uscire più dall'uscio - ah! magari, avessi bevuto meno!"
Oimè! era tardi il pentirsi! Andò crescendo, crescendo, e dovette inginocchiarsi, perchè non poteva più stare in piedi; e dopo un altro minuto, dovette sdraiarsi appoggiando un gomito all'uscio, e mettendo un braccio intorno al capo. E cresceva ancora; disperata, cacciò una mano fuori della finestra, ficcò un piede nel caminetto, e disse a sè medesima, "Checchè accada, non posso far di più. Che sarà di me?"
Buono per Alice che la virtù dell'ampolla magica era giunta al suo apice, e perciò non crebbe di più: ciò non di meno si sentiva molto male in quello stato, e come che non c'era verso d'uscire da quella gabbia, se ne attristò di molto.
"Stava molto meglio a casa mia," pensò la povera Alice, "colà non passava il mio tempo a crescere ed a impiccolire, e ad esser la serva de' sorci e de' conigli. Quasi quasi mi pento d'esser discesa nella Conigliera - eppure - eppure - l'è curiosetto questo genere di vita! Ma, che cosa mai son'io addiventata? Quando io leggeva le novelle delle fate, credeva che quella sorta di stranezze non potesse mai accadere, ed ora eccomi nel bel mezzo di una di quelle. Si dovrebbe scrivere un libro su queste mie avventure, si dovrebbe, certo! Quando sarò grande ne scriverò uno - ma sono di già grande," soggiunse con mestizia, "e non c'è spazio per crescere di più quì."
"Ma che," pensò Alice, "non crescerò più negli anni? Da una parte sarebbe un bene- non diventare mai vecchia, - ma quell'imparar sempre le lezioni m'annoierebbe! Oh non mi piacerebbe ciò!"
"Ah pazzerella che sei!" rispose Alice a sè stessa. "Come potresti imparare le lezioni, quì? C'è appena spazio per te, come c'entrerebbero i libri?"
E così passava il tempo, ora parlando, ora rispondendo a sè stessa, e
facendo una vera conversazione fra Alice ed Alice; ma dopo qualche istante sentì una voce di fuori, e si mise ad ascoltare.
"Marianna! Marianna!" vociava quel tale di fuori; "portami subito i guanti!" E si sentì un calpestìo frettoloso per la scala. Alice pensò che fosse il Coniglio che veniva a sollecitarla a far presto, e tremò tanto da scuoter la casa dalle fondamenta, scordandosi ch'oramai era diventata mille volte più grande del Coniglio, e che non c'era motivo da spiritar di paura.
Il Coniglio giunse all'uscio, e cercò di aprirlo, ma gli era inutile spingere la porta, perchè il gomito d'Alice era puntellato contro. Alice udì che il Coniglio diceva fra sè, "Andrò dietro la casa ed entrerò per la finestra."
"Non ci entrerai!" pensò Alice, ed attese sino a che le parve che il Coniglio fosse sotto la finestra; allora aprì d'un subito la mano come se volesse acchiappare qualche cosa nell'aria. Non afferrò nulla, ma sentì uno strillo e il rumore d'una caduta, poi un fracasso di vetri rotti, e capì che il poverino era probabilmente cascato in qualche vetrina da cetrioli o cosa simile.
Poi s'udì una voce rabbiosa - quella del Coniglio: - "Gianni! Gianni! Dove sei?" E rispose una voce ch'ella non avea mai sentita, "Eccomi qua! Stava scavando patate, illustrissimo!"
"Scavando patate!" tuonò furiosamente il Coniglio. "Vieni qua! Aiutami per uscire da questo!..."(Cricch! si sentì scricchiare il vetro).
"Dimmi Gianni, che mostruosità c'è lassù, alla finestra?"
"Poffare! gli è un braccio, lustrissimo!"
"Un braccio! va via paperone! Chi ne ha mai veduti di quella grossezza? Diamine, riempie tutta la finestra!"
"Gli è proprio così, lustrissimo: ma è un braccio bell'e buono."
"Bene, ma ei non ha niente da fare con la mia finestra; va, portalo via!"
Successe un lungo silenzio, poi Alice sentì un bisbiglio sommesso; e parole come queste, "Davvero, non potrei, lustrissimo; nò, davvero!" "Fa come ti dico, vigliaccone!" allora Alice di nuovo fendette l'aria con la mano minacciando d'acchiappare. Questa volta si udirono due strilli acuti, e cri, cri, scricchiò di nuovo il vetro. "Quante vetrine da cetrioli vi debbon essere colaggiù!" pensò Alice. "Chi sa che faranno dopo! Quanto al cacciarmi fuori dalla finestra, vorrei che potessero farlo! Certo, io non ho mica voglia di rimaner più quì!"